Le ragioni di Walter sul “fine vita”

LE RAGIONI DI WALTER*

Impossibilitato ad essere presente causa interventi chirurgici recenti, vi confesso che avrei avuto diverse remore a partecipare a un evento chiamato “festa” del disabile: festa infatti è un termine che evoca allegria, gioia, stati d’animo in assoluto contrasto con il mio sentire.

Ho fatto questa puntualizzazione semantica, perché il tema del testamento biologico, strettamente connesso a quello del fine vita, è un tema drammatico soprattutto per chi, come il sottoscritto, suo malgrado deve affrontarlo da protagonista. Come qualcuno di voi forse saprà, ho concentrato nella terza parte del mio libro autobiografico uscito a giugno – Il cugino comunista, viaggio al termine della vita, editore Cuec – una sintesi dei documenti – lettere, articoli, interviste – da me prodotti da settembre 2014 e il febbraio di quest’anno. Cercherò di non ripetermi troppo.

Io sono fermamente convinto della necessità civile che lo stato laico legiferi, in modo oculato e rispettoso di tutte le sensibilità, per individuare percorsi, da fissare in precisi protocolli sanitari, che garantiscano a ogni cittadino il diritto inalienabile di libertà di decidere della propria vita. Naturalmente non mi sfuggono le differenze etico-religiose: penso però che, rispetto a rispettabili principi privati e particolari, nello stato laico debbano prevalere principi pubblici e generali come quello dell’autodeterminazione.

E poi, così come la legge sul divorzio non costringe un credente a farvi ricorso, altrettanto varrebbe per la legge sul fine vita.

Ma, non volendo essere reticente, userò la vostra comprensione per sottoporvi un tema divisivo rispetto a concetti – rifiuto dell’accanimento terapeutico, autodeterminazione e altri – sui quali sembrerebbe raggiunta, e vediamo però che nei fatti non è così, una unità di intenti.

Il tema è quello dell’eutanasia. Non affronterò aspetti particolari, quasi tecnici, come eutanasia passiva o attiva, per concentrarmi sul cuore del problema. E per farlo in modo sintetico e, mi auguro, efficace, ricorrerò ad un quesito che ho rivolto pubblicamente e privatamente ad esponenti del mondo cattolico non ricevendo però alcuna risposta.

Rifiuto dell’accanimento terapeutico ed eutanasia sono due fattispecie diverse nelle quali però si sostanzia il medesimo principio, quello dell’autodeterminazione.

Molti di noi ricorderanno il religioso, umanissimo appello – “Lasciatemi tornare alla casa del padre” – con il quale papa Wojtila, richiamandosi al grande principio di libertà dell’autodeterminazione, chiese e ottenne l’interruzione di trattamenti sanitari che lo tenevano e l’avrebbero ancora tenuto in vita, prolungandone però dolori e sofferenze.

Poco meno di un anno fa, una trentenne ragazza americana, Brittany Maynard, che aveva scoperto di avere un terribile tumore al cervello, inoperabile e incurabile, che l’avrebbe portata presto alla morte tra dolori inumani, decise, legalmente, di anticipare le sue inevitabili sofferenze assumendo una sostanza venefica e dandosi la morte.

Per gli ipocriti farisei, il primo evento è accettabile in quanto interruzione dell’accanimento terapeutico, il secondo è da condannare in quanto eutanasia. La sostanza vera dei due eventi è la stessa ed ha uno stesso nome, antico e dolente: si chiama malattia, dolore, sofferenza umana.

Io ho provato a chiedere a esponenti autorevoli del mondo cattolico cosa di diverso da quello che ha fatto avrebbe dovuto fare la ragazza americana se avesse voluto devotamente seguire l’esempio di papa Wojtila: la risposta è stata un gelido silenzio.

Da laico non credente ma rispettoso del mondo cattolico, esprimo la speranza che la chiesa di Gesù di Nazareth sappia presto liberarsi dei troppi sepolcri imbiancati.

Ma poiché il meglio è nemico del bene, si può anche soprassedere ad una legge che legalizzi l’eutanasia. Purché si attui efficacemente la Costituzione.

Per tornare al tema di partenza, il testamento biologico, ho dovuto allontanarmene perché questo tema, senza avere a monte una coerente legislazione sul fine vita, equivale a indossare una cravatta senza la camicia.

Mi rimane da dire, concludendo, che neanche sul rifiuto dell’accanimento terapeutico, nonostante l’art. 32 della Costituzione – secondo il quale “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” – c’è un quadro legislativo certo. Tutto naviga in una zona grigia, nella quale il potere di decidere è affidato al medico.

Lo stesso testamento biologico, che nel mondo anglosassone è univocamente chiamato living will, in Italia, patria del diritto ma anche delle furbizie lessicali, si oscilla nell’acronimo DAT dal puntuale Direttive Anticipate di Trattamento, che sancirebbero la supremazia della volontà della persona, al blando ed ambiguo Dichiarazione Anticipata di Trattamento, che affievolisce la volontà della persona demandando nei fatti al medico il potere di decisione.

Cari amici, io vivo nel terrore.

Un anno fa, quando scrissi la lettera sul fine vita alle autorità politiche, legavo il senso della mia residua esistenza al mantenimento delle mie capacità vocali. Perse queste dopo qualche mese, hanno avuto la meglio le ragioni dell’attaccamento alla vita e all’attaccamento reciproco agli affetti familiari. Ora posso faticosamente comunicare solo con un computer comandato con gli occhi. Ma la sla è inesorabile e prima o poi perderò anche la motilità degli occhi.
Chi mi libererà allora da questa disumana prigione? Troverà il mio amministratore di sostegno un medico disposto, come ho scritto dieci mesi fa in un documento firmato alla presenza di due testimoni, a staccarmi dal respiratore sotto sedazione?

Ecco il mio terrore, cari amici. Ecco la mia pressante insistenza perché ci sia l’impegno dei cittadini a far approvare in tempi brevi una buona ed efficace legge sul fine vita.

Settembre 2015

Walter Piludu

 

* Scritto di WP in risposta all’invito al Convegno “Il testamento biologico” tenutosi l’11 settembre 2015 nell’ambito della V edizione della Festa del Disabile organizzata dal Comune di Monserrato (CA).