WALTER PILUDU

Walter Piludu, nato a Milano nel 1950, vissuto a Cagliari dal 1964, fin dagli anni dell’università è stato un militante e dirigente politico. Segretario della sezione universitaria Karl Marx fino al 1974. Coordinatore della FGCI della Sardegna fino al 1979. Consigliere provinciale nel 1985 e poi presidente della provincia di Cagliari nel 1988. Contrario alla svolta “della Bolognina” che portò allo scioglimento del suo partito, il PCI, non aderì alla formazione politica che ne derivò, il PDS. Preferì impegnarsi nella costituzione del nuovo Partito della Rifondazione Comunista, di cui fu coordinatore regionale fino al 1992, rimanendo consigliere provinciale come indipendente.

Scrive Tore Cherchi nella prefazione al libro di Walter Piludu “Il cugino comunista- viaggio al termine della vita” (2015): «In Rifondazione Comunista Walter non resterà a lungo. Non condividendone né la politica né la concreta vita interna, restituirà simbolicamente la tessera nell’anno 1994. Prima ancora si era dimesso da funzionario (del partito) cioè dal ruolo che gli assicurava lo stipendio necessario per sé e per la sua famiglia. “A 42 anni entravo nel girone dei disoccupati”, commenta Walter. Era un atto di coerenza al limite dell’incoscienza: questa è la sua personalità, non accomodante nei giudizi politici verso i compagni di partito, intransigente innanzitutto verso sé stesso. Restituita quella tessera, non ne avrà più un’altra, lui che della militanza politica in prima persona aveva fatto una scelta di vita». 

Nel 2011 si ammala di una malattia molto grave, la SLA, Sindrome Laterale Amiotrofica. In pochi mesi la malattia imprigiona il suo corpo, come in una gabbia di cemento, paralizzandolo completamente.  Walter ama la vita. Ne parla come di “un’unica, irripetibile esperienza”, che proprio per questo “deve poter essere vissuta senza che diventi un’insopportabile prigione”. “Amo ancora faticosamente la vita”, dice, “ma voglio essere io a decidere quando morire. Senza dover andare in Svizzera, lontano da chi mi vuole bene”. Perciò intraprende quello che chiama “il mio ultimo impegno pubblico”, “la mia ultima battaglia”. 

Si rivolge alla politica, indirizzando una lettera aperta a tutti i responsabili dei partiti presenti in Parlamento, lettera scritta con gli occhi grazie a un computer con comando oculare. “Da ex politico, con ingenuità e passione chiedo alla politica, tutta, di non dividersi tra guelfi e ghibellini, ma di avere pietas, tolleranza e coraggio etico”. Perché sia finalmente approvata una legge che restituisca dignità a chi soffre, consentendogli di decidere come e quando superare il confine tra la vita e la morte.

Scrive: “Senza una legge, io paralizzato, in quale altro modo potrò realizzare la mia volontà, se non col rifiuto di acqua e cibo e quindi una lenta morte per sete e fame? Chiedo ai politici: trovate sia umano, pietoso costringere una persona e i suoi cari ad una prolungata e indicibile sofferenza?” “C’è un diritto inalienabile alla libertà e alla dignità che deve essere garantito alle persone. Anche quello di morire”. “Il tema della morte è molto serio, occorre rispetto per il legislatore, a patto che non venga deviato in alibi e inerzia. Ma io spero ancora in un paese giusto e civile dove si possa decidere di morire senza soffrire”.

La lettera aperta è indirizzata anche a Papa Francesco, con un testo di accompagnamento in cui, definendosi laico non credente, Walter dichiara di rivolgersi al Papa perché impressionato dalla sua attenzione per il tema della sofferenza e, più in generale, per la supremazia dei valori etici improntati alla umana pietà.

Walter se ne è andato il 3 novembre 2016, senza vedere esaudita la sua speranza di una buona legge sul fine vita, né tantomeno quella di qualche progresso della scienza che gli consentisse, pur malato, di vivere con dignità e minore sofferenza. Se ne è andato come aveva deciso, mai arreso alla malattia, da uomo libero, grazie ad un provvedimento del Tribunale di Cagliari, ottenuto al termine di una estenuante battaglia, con il quale gli è stato riconosciuto il diritto all’autodeterminazione garantito dall’articolo 32 della Costituzione.