Le parole di Walter: l’esigenza di un confronto costruttivo con la cultura cattolica

Intervento di Walter Piludu su “L’Unione Sarda” del 13 gennaio 2015

Avverto fortemente l’esigenza di un confronto costruttivo con la cultura cattolica sul tema complesso del fine vita. Da laico non credente nutro un genuino rispetto per il mondo cristiano e la cultura cattolica, grazie al quale riesco a farmi una ragione di dissensi, storici, come la “sacra” inquisizione, o contemporanei, come il comportamento nel caso di Eluana Englaro. Naturalmente, rispetto chiede rispetto, da ambedue le parti, soprattutto nel riconoscimento dialogante ma nitido delle differenze.

L’oggetto della mia recente iniziativa pubblica è stato ed è quello di stimolare forze politiche e culturali perché si arrivi ad una legislazione efficace sul governo del fine vita. Lo spazio angusto di un giornale impone passaggi bruschi e un po’ grossolani. Di questo chiedo scusa se, appunto, affronterò senza troppe sottigliezze, il tema che più mi sta a cuore: il rapporto tra “rifiuto dell’accanimento terapeutico” e “eutanasia”.

Il rifiuto dell’accanimento terapeutico pare un tema largamente condiviso dentro la cultura laica e quella cattolica. Pare, però: perché allora non si capisce proprio il motivo di questa inerzia legislativa, così come analogamente sul tema del testamento biologico. Avanzo una ipotesi. Forse non c’è un pieno, profondo, filosofico convincimento, forse l’accettazione di questo concetto è avvenuta solo con un approccio pragmatico. Ricordiamo tutti la vicenda di Papa Wojtila (“lasciatemi tornare alla casa del Padre”), l’invocazione famosa con cui, umanamente, chiedeva per sé interruzione delle sofferenze e buona morte (in greco eu thanatos).

E vengo al punto cruciale. Nessuno può naturalmente sapere quanto tempo ancora avrebbe potuto vivere Papa Wojtyla se le cure fossero proseguite, un giorno, un mese, o più. Ma questo è relativamente importante. La cosa importante, sostanziale, è che l’anticipazione del suo destino si è compiuta in virtù della sua autodeterminazione, straordinario principi di libertà e dell’atto, volontario, di interruzione delle cure.

Brittany Maynard era una giovane donna americana, amava la vita, faceva volontariato a favore dei più deboli. Poi il dramma: un tumore alla testa, inoperabile e incurabile, il tempo di vita agli sgoccioli. Brittany soffre, ha paura: sulla base del medesimo principio di autodeterminazione, non potendo interrompere cure nel suo caso inesistenti, ai primi del novembre scorso decide, in modo legale, di anticipare volontariamente il proprio destino.

Perché contrapporre le due fattispecie, la prima degna di rispetto, la seconda esecrabile?

Rivolgo la domanda ai puri di cuore e agli onesti di intelletto.

Sono certo che non verranno risposte equilibriste – come quelle di un alto prelato del Vaticano che sul caso Brittany, ha sostenuto il non giudizio sulla povera ragazza ma la assoluta condanna del gesto – o farisaiche – come il giudizio, manifestato dal presidente di una associazione di malati, in base al quale il rifiuto dell’accanimento terapeutico va bene perché in questo caso la morte deriva dalla malattia, mentre l’eutanasia è da respingere perché in questo caso la morte deriva dall’uomo.

La causa della morte di Papa Wojtyla e della ragazza Brittany è la stessa. Essa ha un nome antico e dolente: si chiama malattia, dolore, sofferenza umana. A entrambe le fattispecie che hanno portato alla fine, una legge sapiente e illuminata deve saper dare risposta.

D’altra parte, anche nella liberale e civilissima Svizzera, paese tra gli altri nel quale l’eutanasia è legale, il ricorso a questa pratica può avvenire solo attraverso protocolli medico-sanitari di grande rigore e severità. È assolutamente giusto che sia così: il valore della vita – per i credenti in quanto dono di Dio per i non credenti “in re ipsa” – è il più alto dei valori umani e quindi in questa materia sono vietate superficialità e facilonerie.

L’atteggiamento di serietà non deve e non può essere motivo nello Stato laico di inerzia o mancata determinazione. Nella maggior parte dei paesi occidentali, nei quali il cristianesimo è la religione in gran misura predominante, esistono leggi efficaci e civili per normare i problemi del fine vita e della eutanasia. Ben vengano gli approfondimenti doverosi, ma senza comportamenti da impiegati della cultura o della politica.

Servono passione, capacità autentica di ascolto, intelligenza.

Di credenti e non credenti.

Walter Piludu