Conversazione Eutanasia Legale Cagliari 8 luglio 2021

Anche la non decisione è una decisione: so che l’essenza della politica sta nella sua capacità di osare, di assumere decisioni in grado di rendere migliore la vita delle persone e della società. (Walter Piludu)

Diritti infelici, li chiama il giurista Massimo Donini. Sono quelli che riguardano chi è colpito da malattie talmente gravi da non consentire scampo. A questi diritti infelici che da anni attendono invano una risposta dal nostro Parlamento è stata dedicata idealmente l’iniziativa dell’Associazione Walter Piludu sulla eutanasia legale. Una conversazione, ospitata dalla Fondazione di Sardegna di Cagliari, che ha sottolineato l’adesione al referendum popolare promosso dall’Associazione Luca Coscioni e ha avuto per protagonisti giuristi, medici, magistrati, ma anche religiosi, e molti spettatori attenti e partecipi. Alla base degli interventi una considerazione fondamentale: il referendum non è la soluzione, è solo l’inizio. E in questo momento, qui, in Italia, pare l’unica via possibile per risvegliare un Parlamento che latita. Per far sì che sia una legge dello Stato a stabilire regole precise, a garantire l’uguaglianza dei diritti, a svolgere quel compito che oggi viene assolto – in una supplenza senza fine – dalla Magistratura.

Il referendum popolare, per il quale è necessario raccogliere entro il 30 settembre cinquecentomila firme, punta alla abrogazione di parte dell’art. 579 del codice penale (che punisce l’omicidio del consenziente), così da permettere in Italia il ricorso alla morte volontaria. Un percorso lungo, e un risultato per nulla scontato. Sicuramente, come ha sottolineato nel suo intervento introduttivo la presidente dell’Associazione Walter Piludu, Alessandra Pisu, la mobilitazione sociale susciterà dibattiti e riflessioni importanti sul tema del fine vita. E questo non potrà che riportare l’attenzione sull’etica della morte volontaria e della eutanasia.

La presidente ha esordito ricordando Walter Piludu che nel luglio del 2016, dopo cinque anni di inferno per la sua condizione di malato di SLA, ha ottenuto dalla magistratura cagliaritana l’autorizzazione a porre fine alla sua esistenza, in ottemperanza all’articolo 32 della Costituzione. La sua ultima battaglia politica mirava tuttavia al di là della sua vicenda personale, ad una buona legge sul fine vita. Quella promulgata l’anno successivo alla sua morte – la l.219, per la quale si possono rifiutare le terapie – è un passo importante, ma non è sufficiente. Ci sono situazioni in cui non c’è un macchinario da staccare o terapie da rifiutare. Occorre altro. Occorre una legge che risponda a tutte le situazioni di un fine vita vissuto dal malato terminale come sofferenza non più oltre sostenibile. Una legge che nonostante i moniti della Corte Costituzionale ancora non esiste. Nella cattolicissima Spagna è stata promulgata quest’anno in pochi mesi, e in piena pandemia.

                                 

      Mario Maffei    Alessandra Pisu                                                                       Aldo Luchi

Da qui l’esigenza di sostenere il referendum, che come affermato dall’avvocato Mario Maffei del direttivo AWP «siamo tutti consapevoli non porterà all’eutanasia legale, ma è un modo per risvegliare un parlamento narcolettico», facendogli sentire che c’è una richiesta di matrice popolare per una legislazione  sul fine vita. Intorno a questo obiettivo finale hanno condotto i loro interventi gli avvocati Mario Maffei e Aldo Luchi, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari, sottolineando gli aspetti giuridici ed etici di un tema che ci riguarda tutti: la vita, il dolore, il diritto di poter scegliere. E il dovere di dare risposte, con norme valide per tutti, e quindi davvero eque. «La crudeltà di chi non dà risposte è la nostra». Per questo, compito dell’avvocatura è mettersi dalla parte del popolo italiano. Rappresentare i diritti di tutti, soprattutto dei più deboli. Avere un ruolo sociale importante, e quella capacità di immedesimarsi, quella pietas che è alla base della condizione umana.

Lo sanno bene i medici. Lo sa bene Mario Cardia, neo Direttore S.C. Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale Marino di Cagliari. Fu lui, nel novembre del 2016, ad aiutare Walter Piludu a uscire dalla sua prigione di cemento. «Ho fatto una cosa giusta, ma questo non significa che io non abbia sofferto. Paziente e medico: gli attori sono due! L’ho aiutato ad andarsene, con la sedazione profonda, e poi ho staccato la spina. Ma ci sono malati che non hanno spine da staccare, nessun palliativo che possa aiutarli a sopportare il dolore. Nulla li fa star meglio. Un malato terminale neoplastico che raggiunge un livello di sofferenza soggettiva insopportabile non ha la possibilità di decidere di porre fine alla sua condizione infernale. Io come medico vorrei rispettare la sua volontà».

 

Mario Cardia

 

La pensa allo stesso modo Luigi Mori, giovane medico specializzando in anestesia. Nel suo intervento ha sottolineato la necessità di una legge che faccia uscire il medico da quelle zone d’ombra dove tutto è lecito e non lo è. Si è basato da un lato sulla statistica (400-500 suicidi annui, sui 6500 registrati, riguardano pazienti terminali e colpiti da malattie neurovegetative), dall’altra ha fatto appello alla sua coscienza di medico. Ai limiti di una professione – e di una specializzazione cruciale come l’anestesia – che spesso non parla di cure palliative e di gestione del dolore terminale. «Sarà questa un’altra battaglia da fare, per la qualità della medicina».

Luigi Mori

In una serata che davvero ha parlato di vita, e non di morte, e per questo ha ottenuto lo scopo che si prefiggeva, ci sono stati interventi extra che hanno arricchito la discussione. Quello di Don Ettore Cannavera, che ancora una volta ha ribadito la necessità, per il legislatore, di un cammino etico, morale, culturale che riguardi la comunità tutta. Ha esortato a tener conto che non tutti coloro che sono cristiani – ad esempio i protestanti e gli ortodossi – la pensano come i cattolici sul senso della vita terrena, della vita biologica, dal suo inizio alla fine. Don Ettore ha riproposto la sua profonda credenza nella autodeterminazione: «Se la vita è un dono io ne sono responsabile e la gestisco in piena autonomia».  E se la vita smette di essere relazionale devo avere la libertà di dire basta. «Il Dio cui mi ispiro è relazione.  E la vita che Dio ci ha dato, non dimentichiamolo, non si conclude con la morte! Ma noi cattolici ci crediamo davvero, che la vita non ci viene tolta ma è trasformata?»

Don Ettore Cannavera                                             Paolo De Angelis

Richiamandosi a Cannavera, Paolo De Angelis, Procuratore Aggiunto f.f. presso il Tribunale di Cagliari, ha detto che il legislatore non si sa muovere perché non sa guardare alla società. E ha aggiunto: «Il vero peccato mortale, per una società civile, è che non si dia risposta alle domande difficili». Argomento ripreso da Cristina Ornano, giudice delle indagini preliminari, che ha sottolineato come nella società emergano molti diritti nuovi e come la politica non riesca a prendere decisioni e a fare scelte. «In altri Paesi si fanno, in altri tempi si è fatto anche in Italia». I due magistrati hanno sottolineato che finora la magistratura ha svolto un ruolo di supplenza del legislatore, ribadendo che se si vuole essere davvero giusti, nel rispetto dei diritti di ciascuno e di tutti, occorrono norme a livello nazionale. «Occorrono leggi, non sentenze. È il legislatore che deve decidere, e invece troppo spesso è la magistratura che supplisce».

 

Magistrati, ma anche avvocati e medici sono costretti a supplire. Negando così nei fatti, quei punti fondamentali che solo una norma garantisce: la libertà di autodeterminazione della persona, il principio di eguaglianza che ogni diritto deve garantire. «Non credo che il referendum risolverà questa situazione», ha concluso Ornano, «ma ha un forte significato politico. Richiamare l’attenzione, superare pregiudizio e ignoranza. Il referendum non sarà risolutivo, ma è una battaglia politica assolutamente importante, doverosa».

Maria Cristina Ornano

In finale, è spettato al regista Enrico Pau e al neuroscienziato Gianluigi Gessa esprimere un loro pensiero.

Pau, da sempre interessato a questi argomenti ha ricordato come Mina Welby abbia partecipato alla presentazione del suo film L’Accabadora, e ha chiuso con una citazione pasoliniana che è una risposta a tanta ipocrisia dilagante: «Il moralista è quello che dice di no agli altri, l’uomo morale quello che dice di no a sé stesso».

Gessa ha ribadito che il ruolo di chi sovrintende la medicina non è soltanto quello di insegnare ai medici come guarire i pazienti, ma anche come aiutarli ad andarsene, se la vita per loro è diventata insopportabile. Come per Walter Piludu, come per i tanti che occupano l’inferno dei viventi e vorrebbero avere la libertà di scegliere se restare o mettere fine degnamente alla loro esistenza.

                                                                               (mpm)

 

Enrico Pau

 

Gian Luigi Gessa